In ogni montatura, che si tratti di pesca a fondo o al colpo, non c’è settore irrilevante ma non v’è dubbio alcuno che il terminale rivesta un ruolo da protagonista trattandosi dell’ultima porzione, quella con l’amo, l’esca e in relazione diretta con il pesce. Quanto deve essere lungo un terminale? Meglio il nylon o il fluorocarbon? Qual’è il diametro (sarebbe forse meglio parlare di carico di rottura) più adatto? Sono tutte domande molto frequenti alle quali cercheremo, nel possibile, di dare risposta focalizzandoci sulle varie specie di pesci, sul loro comportamento, sulle condizioni ambientali e sulle dinamiche delle lenze.
I materiali: nylon, fluorine e fluorocarbon
È certo, o quantomeno molto probabile, che già il lettore conosca le principali differenze tra nylon, fluorine e fluorocarbon, motivo per il quale è forse più opportuno dedicare spazio al “perché” piuttosto che al “che cosa”. Si è frequentemente messo in relazione questi materiali circa una delle caratteristiche più invitanti agli occhi del pescatore, la relativa “invisibilità” dovuta al fatto che il fluorocarbon ha un’indice di rifrazione molto prossimo a quello dell’acqua (1.37 contro 1.33), seguito dal fluorine (nylon+fluorocarbon quale che sia il metodo di produzione) e infine dal nylon.
In realtà quella dell’invisibilità nella pesca a feeder è la questione meno rilevante dato che nella maggior parte dei casi il terminale lavora sdraiato sul fondo. Quando esca e terminale poggiano sul fondale un nylon “camo” (mimetico) è assolutamente impossibile da percepire. Diverso è il discorso se si prevede di intercettare i pesci anche durante la calata (es. le spigole): in quel caso la rifrazione può giocare un ruolo importante in acque chiare poiché per un certo tempo il terminale lavora sospeso dal fondo. La caratteristica invece più rilevante risulta essere la resistenza all’abrasione. Più o meno il motivo è il solito e risiede ancora nello stretto contatto del terminale con il fondo.
Nylon, fluorine e fluorocarbon. Tutti e tre i prodotti in foto presentano un’elevata resistenza all’abrasione.
La partenza di un pesce fa sempre strusciare la lenza sul fondo e sui fondali duri questo può determinare un grado variabile di abrasione. Fluorocarbon e fluorine (o meglio fluorocoated) hanno una spiccata resistenza e questo in genere ne favorisce l’utilizzo. In realtà esistono anche nylon particolarmente resistenti e progettati per contrastare questo fenomeno. Si tratta di nylon costruiti con una tecnologia multistrato che presentano proprietà simili ai fluorocarbon e fluorine quanto a resistenza all’abrasione e basso allungamento. La bassa elasticità li rende particolarmente responsivi mentre in genere (ma dipende dalla tipologia) mostrano una tenuta al nodo superiore rispetto a fluorocarbon e fluorine.
Quando il terminale lavora sdraiato sul fondo le differenze tra queste tre tipologie di filo non sono abissali e molto si gioca sulle preferenze personali oltre che sull’esperienza con i vari prodotti. Vorrei tuttavia provare a dare delle indicazioni molto generali:
- Terminale corto, sdraiato sul fondo: Nylon affondante con alta resistenza all’abrasione, possibilmente di colore prossimo a quel del fondale (camo multicolore, verde opaco, marrone opaco). Risulta assolutamente invisibile ma ha di solito una maggior tenuta al nodo.
- Terminale medio, sdraiato sul fondo: Nylon con alta resistenza all’abrasione (come sopra) o fluorine.
- Terminale lungo, in calata e/o fluttuante in prossimità del fondo: Fluorine o Fluorocarbon. Qui in genere si parla di pesca con esche leggere presentate con terminali lunghi che inizialmente lavorano in calata e che una volta sul fondo si fanno facilmente sollevare e stendere, talvolta fluttuando (a seconda della corrente), pur sempre lavorando a sfiorare/toccare il fondale. I fluoro-fili sono meno visibili durante la calata, sono abbastanza rigidi da tenere l’esca un po’ più distante (dalla traiettoria di discesa del feeder), non soffrono di ridotta elasticità (proprio perché il terminale è lungo) e una volta sul fondo resistono bene all’abrasione.
Non è il caso di consigliare marche specifiche e ricordo che le foto qui sul blog sono più che altro di esempio. In commercio vi sono molti prodotti a disposizione e in genere quelli dei brand più noti sono tutti affidabili. A voi la scelta ma ricordate sempre che state pescando a fondo, con diametri non capillari e che i terminali son soggetti ad usura e vanno sostituiti di frequente: un prodotto dalle buone caratteristiche e dal giusto prezzo è la scelta migliore.
Il diametro del terminale da feeder
Prima di tutto l’equilibrio. Se la dimensione dell’amo si rapporta con l’esca (mai con il pesce), il diametro del terminale si rapporta con l’amo. È una sorta di effetto domino dove ad una scelta ne consegue direttamente un’altra. Se dunque abbiamo un’esca voluminosa (es. una boilie) useremo un amo di maggiori dimensioni e dunque un terminale di maggior diametro, per contro se abbiamo un’esca piccola (es. un bigattino) useremo un amo molto piccolo e dunque un terminale di diametro molto ridotto. D’altronde sarebbe una sciocchezza fare diversamente.
Fa eccezione la pesca a method/pellet feeder dove per l’esigua lunghezza del terminale (8–10 cm in media) anche un’esca piccola deve esser presentata su ami e terminali più generosi; il motivo sta nella bassissima elasticità del terminale ultra-corto che altrimenti finirebbe per rompersi durante il combattimento con il pesce.
Pesca a feeder con il bigattino singolo o a coppia. Particolare dell’amo legato con un filo dello 0.145 mm. Amo barbless a paletta con nodo a filo interno.
Lo scenario classico in cui nel feeder si utilizzano diametri ridotti è la pesca a pesci sospettosi con il bigattino presentato singolo o a coppia. Come detto sopra si tratta di un approccio in cui si cerca di intercettare i pesci durante varie fasi, sia in calata che sul fondo. Il diametro che utilizzo di più è lo 0.145 che può salire fino allo 0.16 ma non scende mai sotto lo 0.14. Le ragioni sono piuttosto ovvie. Sopra lo 0.16 risulta difficile legare ami piccoli che per lo più hanno una paletta di ridotte dimensioni e l’uso di un filo di diametro troppo grande finisce per rendere debole il nodo (aumenta la probabilità che l’amo si sfili). Sotto lo 0.14 il filo è troppo sottile per lavorare a contatto con il fondo ed aumenta la probabilità che si abbiano rotture dovute all’abrasione. Al di là dei casi eccezionali (es. pesca su fondali morbidi e assolutamente puliti) non è mai necessario ridurre il diametro a valori da pesca al colpo e conviene concentrarsi sulla sua lunghezza se si intende variare qualcosa.
Pesca a feeder con esche da hair rig. Particolare dell’amo legato con un filo dello 0.21 mm. Amo ad occhiello con nodo non nodo (knotless knot) a filo interno.
L’altro scenario è quando si utilizzano esche più voluminose, il più delle volte su hair rig (ma non necessariamente), e cresce la misura dell’amo. L’esca voluminosa è solitamente pesante e porta velocemente il terminale a sdraiarsi sul fondo. Vale anche per le esche pop-up poiché in ogni caso le facciamo sollevare di qualche centimetro nella parte finale mentre il terminale viene appesantito (piombo, tungsteno) proprio per sdraiarlo. Ci troviamo quindi ad operare con un’esca di un certo volume, un amo più o meno generoso e il finale poggiato sul fondale: utilizzare un diametro sottile non avrebbe alcun senso. Sia chiaro che il feeder non è il carpfishing e che dunque il più delle volte i diametri del terminale non sono poi così esagerati. Con le esche più voluminose, sia in mare che in acqua dolce, il range 0.18–0.22 è quello ideale a seconda dell’ambiente e del tipo di pesce che si intende insidiare.
La lunghezza del terminale da feeder
Qui entriamo forse nella parte più complessa dell’argomento poiché le considerazioni da fare sono diverse. Proviamo iniziando con alcuni capisaldi:
- il terminale corto trasmette prima le mangiate;
- il terminale corto è meno elastico;
- il terminale corto è ideale per le montature autoferranti (bolt);
- il terminale corto tende a determinare allamature più superficiali;
- il terminale corto non va bene in corrente lineare ma è idoneo in acqua ferma e in caso di turbolenza;
- il terminale lungo è più lento nel trasmettere le mangiate;
- il terminale lungo è più elastico;
- il terminale lungo è ideale per pesci sospettosi e montature non autoferranti;
- il terminale lungo tende a determinare allamature profonde;
- il terminale lungo è ideale in caso di correnti lineari, va bene in acqua ferma ma non in caso di turbolenza.
Ovviamente nel mezzo ci sono i terminali di media lunghezza e comunque le misure sono sempre relative e vanno contestualizzate. Rimane però che avendo ben presente come lavorano gli estremi ci si può orientare meglio in caso di problemi (non si vedono per tempo le mangiate, i pesci si allamano troppo profondamente, riteniamo di essere fuori pastura e via dicendo). Nel provare a chiarire quale sia la lunghezza ottimale (o quantomeno la lunghezza indicativa ideale) conviene trattare l’argomento andando secondo priorità di fattori e al primo posto abbiamo quelli ambientali.
La lunghezza del terminale in acqua ferma o molto lenta
Tipicamente si tratta delle grandi masse d’acqua come mari e laghi ma può trattarsi anche di corsi d’acqua come fiumi e canali quando le condizioni (portata, particolare zona) siano tali che la corrente si riduce al minimo fino a rendere il flusso apparentemente assente o estremamente lento. In questi ambienti (o casi) il feeder rilascia la pastura in un area abbastanza circoscritta e la stessa non viene dispersa in una o più direzioni da una o più correnti rilevanti. Ciò significa che i pesci verranno attirati in prossimità del pasturatore e nella stessa area dovremo collocare l’esca.
In queste circostanze possiamo utilizzare diverse lunghezze del terminale a seconda del risultato che vogliamo ottenere:
- Terminale corto: pesca in stretta prossimità del feeder con montature dall’effetto autoferrante (bolt effect). Parliamo di terminale corto quando la sua lunghezza è inferiore ai 50 cm.
- Terminale lungo: pesca in calata e pesca in prossimità del feeder con montature debolmente autoferranti o scorrevoli. Parliamo di terminale lungo quando la sua lunghezza è superiore ai 50 cm. Solitamente nel range 50–100 cm ci si riferisce più a terminali di media lunghezza mentre il range 100–150 cm è invece tipicamente dei terminali lunghi.
Noterete che in entrambi i casi, che il terminale sia più corto o più lungo, quando l’esca giunge sul fondo si colloca comunque in prossimità del feeder. Questo comportamento in acqua ferma è stato dimostrato da numerose riprese underwater e il motivo risiede nel fatto che il feeder, durante la sua discesa, trascina il terminale più o meno in verticale con l’esca che infine si deposita sul fondo vicino al pasturatore.
Schema semplificato della disposizione del terminale sul fondo al termine della discesa. L’esca su terminale lungo cadrà in un punto comunque prossimo al feeder indipendentemente dalla lunghezza del finale.
Immaginare che, in acqua ferma, un terminale lungo porti l’esca a posizionarsi quasi a tutta lunghezza dal feeder è sbagliato. Quindi a meno che non interveniamo manualmente così da stendere il finale (recuperando e spostando il feeder) l’unica differenza reale tra terminale corto e lungo sta nella capacità da parte del pesce di avvertire rispettivamente prima o dopo la resistenza della zavorra. Quindi come dobbiamo comportarci? Dipende da ciò che vogliamo ottenere:
- Vogliamo che il pesce si allami da solo e vedere immediatamente la mangiata: utilizziamo una zavorra di peso importante applicata ad una montatura fissa (bolt) associata ad un terminale corto. In questi casi tendo a preferire l’elicottero corto (classico).
- Vogliamo che il pesce non avverta alcuna resistenza: utilizziamo un terminale lungo. Come montatura dovremmo scegliere quella più sensibile poiché il terminale lungo è lento nel trasmettere le mangiate. In questi casi tendo a preferire il running rig con feeder link.
Con un terminale lungo, sempre parlando di acqua ferma, può accadere che i pesci si allamino troppo profondamente. Ed è logico in quanto hanno tutto il tempo di ingoiare l’esca. Ce ne accorgiamo perché dobbiamo usare lo slamatore in profondità se non (nel caso di un rilascio) tagliare il filo. Se questo accade dobbiamo accorciare finché non troviamo il giusto equilibrio.
Benché il terminale lungo si usi con i pesci diffidenti può anche accadere, data la lentezza nel trasmettere le mangiate, che abbiano tutto il tempo di risputare l’esca. In questo caso ce ne accorgiamo perché recuperiamo l’esca rovinata (in genere si pesca con il bigattino che risulta morto, allungato). Anche qui dobbiamo accorciare fino alla lunghezza ottimale che ci consente di avvertire le tocche sul quiver (e conseguentemente di ferrare in tempo).
Un’opzione è stendere il terminale lungo per aumentare la sensibilità.
Va tuttavia detto che un terminale lungo può essere comunque steso recuperando il feeder. Se il fondale ce lo permette e non rischiamo di incagliare, questa operazione mette in tensione il terminale e aumenta la sensibilità del sistema. Si configura una situazione simile a quella che si verifica in corrente dove non siamo noi a stendere il terminale ma è il flusso che lo mette in tensione.
La lunghezza del terminale in acqua corrente
Quando c’è una corrente rilevante e cioè di intensità tale da trasportare velocemente a valle la pastura che fuoriesce dal feeder è d’obbligo utilizzare terminali lunghi poiché i pesci tendono a mangiare gli elementi trasportati dal flusso e quindi a collocarsi ad una certa distanza dal pasturatore. Un terminale troppo corto risulterebbe quindi fuori pastura. E non vi sono particolari problemi di sensibilità poiché il flusso stendendo il terminale lo rende più responsivo.
Come si stende un terminale lungo in discesa verso il fondo per via della corrente.
Per valutare la giusta lunghezza in corrente possiamo far riferimento a come si avvertono le mangiate e a come si allama il pesce. In generale se il terminale è troppo corto o non si vedono mangiate (siamo fuori scia) oppure si vedono delle tocche leggere ma il pesce si allama con difficoltà (e molto in superficie). Per contro se vediamo tocche serie ed il pesce però si allama profondo significa che il terminale è troppo lungo. A seconda della corrente il terminale può andare dai 50 cm fino ai 150 cm. Solo in casi particolari si utilizzano terminali di lunghezza superiore. Va poi considerato che a livello del fondo la corrente è sempre minore rispetto a quella superficiale (parliamo chiaramente di fondali almeno di media profondità) quindi non facciamoci ingannare troppo dall’occhio poiché potremmo sopravvalutare il flusso reale: è più indicativo il peso necessario per stare fermi con il feeder sul fondale. Ma anche in questo caso dipende dal tipo di approccio considerato che utilizzando la pancia (metodo bow) il peso necessario per star fermi è sensibilmente minore rispetto alla lenza “diretta”. Avere a disposizione vari terminali di diversa lunghezza (es. 50, 75, 100, 125 e 150 cm) consente di individuare abbastanza facilmente la misura più adatta.
La lunghezza del terminale in acqua turbolenta
Quella dell’acqua turbolenta la considero una situazione limite poiché non c’è modo di intuire cosa accada alla pastura che fuoriesce dal pasturatore e francamente il feeder andrebbe praticato o in acqua ferma o in corrente ma non in presenza di un moto turbolento molto pronunciato. Talvolta pescando in mare può capitare però di trovare condizioni particolari specie se c’è risacca e sul fondo vi sono correnti variabili che portano verso e lontano da riva formando appunto turbolenze importanti. Una situazione che si gestisce molto meglio pescando a bolognese ma che per dovere di cronaca va qui almeno menzionata. Se l’approccio è a feeder la montatura migliore rimane a mio avviso l’elicottero (helicopter rig) nella sua versione classica e dotata di antitangle tipo sleeve (a manicotto). Nella turbolenza si pesca con terminali dal diametro generoso e piuttosto corti il che riduce sensibilmente la formazione di garbugli. In ogni caso il pasturatore è di tipo block-end, sia che si usino i bigattini che il classico sfarinato, e di peso sufficiente a rimanere stabili sul fondo. In genere si parte con un terminale da 50 cm dello 0.21–0.22 ed un innesco voluminoso (pellet da 8–11 mm o bigattini a ciuffo) e poi si valuta a seconda della risposta se allungare o meno. Si tratta di una pesca prevalentemente orientata a saraghi e grosse occhiate quindi non conviene andare troppo per il sottile sia per le condizioni ambientali che per la tipologia di pesce.