La spigola è un pesce fortemente eurialino, capace cioè di sopportare variazioni di salinità molto ampie. È inoltre euritermo tollerando un altrettanto ampio range di temperatura ambientale. Queste caratteristiche rendono conto della sua vasta distribuzione geografica oltre che della possibilità di incontrarlo in spot anche molto diversi tra loro come il mare aperto ed il tratto di foce, che risale per diversi chilometri a monte. Proprio lungo il tratto di foce si creano le condizioni per una tecnica di pesca a bolognese abbastanza particolare, la trattenuta bloccata.
Principi generali della pesca a trattenuta bloccata
Lo scopo della pesca a trattenuta bloccata è quella di presentare l’esca ferma in corrente e da questa “animata”, cioè mossa e resa naturale dalla spinta esercitata dal flusso d’acqua. Ferma o bloccata si riferisce al fatto che al galleggiante è impedito di effettuare la passata e ciò si traduce dunque in una trattenuta estrema, fissa e costante. In questa condizione la lenza si dispone in diagonale (come vedremo circa a 45 gradi) e l’esca, tipicamente il bigattino, viene a trovarsi in scia con il resto delle larve che vengono lanciate sfuse, più a monte e leggermente più fuori (poiché il flusso le spinge verso valle e verso riva).
Questa tecnica ha molto in comune con il “Laying-on”, un metodo inglese che si trova a metà tra il legering e la pesca con il waggler e che viene praticato in fiumi con corrente da lenta a media alla ricerca di pesci che si nutrono in prossimità del fondo quando questi preferiscono una presentazione più stabile rispetto al classico “trotting” (equivalente della nostra passata).
Nel tratto di foce questa particolare forma di pesca con il galleggiante viene praticata, in Italia, con canne fisse e più frequentemente con bolognesi molto lunghe alla ricerca delle spigole e prende il nome di pesca in trattenuta (stoppata, bloccata, costante, ecc.). Le attrezzature come le montature possono subire variazioni a seconda del luogo e delle caratteristiche dello spot ma il principio generale rimane immutato.
Nella pesca a bolognese in trattenuta bloccata la canna viene tenuta appoggiata su un supporto in maniera simile alla pesca a legering.
Attrezzatura
L’attrezzatura dipende dalle caratteristiche dello spot e in particolare dalla profondità, dalla distanza a cui si intende pescare e dalla corrente, cosa che porta inevitabilmente a differenze anche notevoli. Per intenderci la pesca che facciamo in Arno è concettualmente la stessa che viene fatta a Fiumicino ma non è lo stesso corso d’acqua, il che influenza sia le attrezzature che vengono messe in campo che varie considerazioni circa le condizioni ideali. E va aggiunto che neanche lungo tutto il tratto di foce dello stesso fiume l’approccio è identico ma varia da zona a zona.
Per evitare di essere troppo specifici conviene dunque ragionare in termini generali, cosa che consente di focalizzare l’attenzione sulla tecnica in sé per poi adattarla ai vari scenari.
- La canna. Nella maggior parte dei casi si utilizza una bolognese che deve esser più lunga della profondità verticale del punto in cui si intende pescare e più lunga della linea di pesca (distanza dalla riva) su cui si intende operare la trattenuta. Per intenderci se la profondità verticale misurata a sonda è di cinque metri va bene una bolognese di sei metri ma se vogliamo pescare a sette metri di distanza da riva serve una otto metri.
- Il mulinello. La scelta dipende dalle preferenze. Io opto per un 3000 leggero a frizione anteriore anche per il fatto che in Arno può capitare di allamare grosse carpe e channel ed avere a disposizione un mulinello più capiente e performante è sempre buona cosa.
- Il filo in bobina. L’azione di pesca avviene in punta di canna e il lancio è solitamente un classico under-arm, tipo canna fissa dunque non vi è particolare necessità di scendere di diametro con il filo in bobina anche se si utilizzano galleggianti di grammatura ridotta. Uno 0.16 mm è di solito il compromesso migliore, specie se si utilizzano i pallini inglesi per regolare la taratura e se si prevede di redistribuire il peso in lenza, cosa che comporta sempre un certo stress per il filo (schiaccia, allenta, sposta, rimuovi e aggiungi).
- I galleggianti. sono funzione della corrente. In alcuni spot talvolta si usano addirittura le vele tuttavia quando la corrente spinge molto io solitamente preferisco cambiare tecnica dunque mi limiterò ai galleggianti classici che in ogni caso devono essere montati sostituibili.
- Piombi. La pesca in trattenuta bloccata prevede un certo grado di sovrataratura ed il peso in lenza può variare a seconda della spinta della corrente. Ciò comporta la necessità di modificarlo utilizzando delle torpille intercambiabili o, e lo preferisco, usando i pallini inglesi (BB, AAA, SSG, …) che sono molto morbidi e si possono aggiungere, rimuovere o spostare molto facilmente.
L’amo privo di ardiglione (barbless) è particolarmente sportivo e diviene una scelta obbligata se si prevede di rilasciare le prede di taglia minore.
La corrente
Qui viene il difficile (per modo di dire). La corrente nel tratto di foce varia in funzione della fase di marea, della profondità del corso d’acqua e della distanza da riva.
- La marea. Durante la fase di salita il cuneo salino spinge verso monte mentre l’acqua dolce superficiale spinge verso valle. Si ha una dunque una doppia corrente che crea non pochi problemi sia per quanto concerne la pasturazione (i bigattini ad un certo punto della discesa tornano indietro) che la disposizione della lenza. Durante la fase di marea calante il cuneo salino si ritira e la corrente tende ad avere una direzione uniforme verso valle. Per questa tecnica è la condizione migliore poiché le larve scendono verso il fondo in diagonale e così si dispone la lenza.
- La profondità. Maggiore è la profondità e più si avverte la differenza di velocità dell’acqua (più veloce in superficie e più lenta sul fondo) inoltre incide profondamente sul tempo necessario affinché le larve raggiungano il fondo (che dipende anche dalla corrente).
- La distanza da riva. Più ci si allontana da riva più la corrente aumenta.
Ci sono poi almeno altri due aspetti da considerare. La corrente non varia solo tra le varie fasi di marea (variazione interfase) ma anche durante una stessa fase (variazione intrafase). In altre parole la corrente durante una certa fase, ad esempio di marea calante, può in certi momenti spingere di più ed in altri di meno e questo comportamento può richiedere frequenti aggiustamenti sia della lenza che della pasturazione. Il secondo aspetto è che la corrente non spinge solo in una direzione (es. verso valle) ma anche verso riva. Quanto verso riva è anch’esso variabile ma in generale quando si pastura si preferisce andare un po’ oltre la linea di trattenuta.
Riuscire a capire con esattezza come scendono le larve in pastura è praticamente impossibile e al di là di queste considerazioni generali l’equilibro tra pasturazione (punto di ingresso delle larve in acqua) e posizione della lenza nasce da una serie di prove seguita da una valutazione delle mangiate.
Gestire la corrente significa poter modificare la lenza in ogni sua parte, dal galleggiante, alla taratura alla distribuzione dei pallini.
Montature
Croce e delizia di ogni articolo, le montature vanno sempre prese a titolo puramente indicativo. La regola generale è che più la corrente è lenta più le spallinate si allargano e si fanno leggere mentre più la corrente spinge più le spallinate si accorciano e si fanno pesanti. Poi in trattenuta bloccata si pesca sempre in sovrataratura. Ciò significa che in lenza avremo un peso maggiore della portata del galleggiante e che, ovviamente, se lasciamo il galleggiante libero di scorrere in passata affonda. Altra indicazione fondamentale è che la sovrataratura non deve superare quattro volte la portata del galleggiante il che, tradotto, significa che un galleggiante da 1 grammo porta fino a 4 grammi. Se è necessario un peso maggiore occorre cambiare galleggiante (es. montarne uno da 2 grammi e così via).
La soluzione migliore: i galleggianti a corpo mobile. In foto i Rizov RF43.
Nelle lenze da trattenuta i galleggianti devono dunque essere montati intercambiabili. La maggior parte dei pescatori fissa il galleggiante classico con quattro tubicini in silicone (tre sulla deriva ed uno sull’antenna) e in questo modo per cambiare il galleggiante basta sfilarlo dalla lenza madre. Ho fatto così anche io per molti anni finché non ho provato i galleggianti a corpo mobile. Si tratta di galleggianti che presentano lo stesso asse (deriva+antenna) mentre il corpo si può sfilare. Non serve cioè cambiare il galleggiante ma basta sostituire il solo corpo.
Rizov RF43. Il corpo non solo si può sostituire ma si può anche invertire, conferendo nuove proprietà al galleggiante.
Volendo il corpo si può anche invertire di fatto cambiando radicalmente forma e quindi il comportamento in corrente. Si può ad esempio passare dalla goccia (ottima nella trattenuta con corrente lenta) alla goccia rovesciata (con spalle più larghe per correnti più sostenute). Per dove pesco io un set di galleggianti da 1, 2 e 3 grammi copre tutte le necessità. Se la corrente fosse così forte da non permettere una buona trattenuta con il galleggiante da 3 grammi sovratarato è segno che la tecnica è al limite a conviene passare al feeder. Chiaramente questa è una considerazione personale e legata allo spot specifico che frequento.
Passando alla lenza in sé vi sono molte possibilità e prenderle tutte in considerazione sarebbe troppo lungo. Mi limito dunque a due sole spallinate, una per corrente più lenta (aperta) ed una per correnti maggiori (chiusa). In entrambe è presente a monte il bulk di sovrataratura, realizzato con pallini inglesi tipo BB, AAA o SSG (rispettivamente 0.4, 0.8 e 1.6 gr) oppure una torpilla intercambiabile. La torpilla si usa per lo più quando è necessario un peso importante e sono casi particolari tuttavia conviene prevederne il possibile uso ed introdurre così in lenza due piccoli tubicini in silicone a monte della spallinata: non disturbano la dinamica della lenza e ci permettono di poter applicare velocemente una torpilla se serve.
La prima lenza che andiamo ad analizzare è abbastanza ampia e leggera.
Esempio di lenza per corrente da 1gr + 1gr (circa) di sovrataratura (max 1+3 gr). Notare i due tubicini in silicone a monte del bulk per eventuale applicazione di una torpilla.
Questa lenza utilizza un galleggiante da un grammo e può essere sovratarata fino a massimo 4 grammi. Facciamo attenzione al fatto, tuttavia, che la possibilità di far lavorare una lenza del genere con una corrente da 4 grammi dipende anche dalla profondità dello spot. Su fondali relativamente bassi quando si arriva a quattro grammi conviene anche redistribuire i pallini e accorciare (compattare) la spallinata.
Con correnti più importanti la sovrataratura cresce e al bulk si può preferire una torpilla. Il basso lenza rimane intorno al grammo per garantire sempre una certa morbidezza ma si preferiscono meno pallini, più vicini e leggermente più grandi.
Esempio di lenza per corrente da 1gr + diversi grammi di sovrataratura.
La regola dei 45 gradi
Come facciamo a capire se il peso in lenza è giusto e se la lenza si dispone correttamente in diagonale? Si applica la regola dei 45 gradi. La lenza dovrebbe cioè lavorare circa a 45° con il terminale fluttuante più o meno parallelo al fondo e molto prossimo a questo. Osserviamo lo schema seguente:
Misurando con una sonda la profondità verticale a livello del primo pallino (subito sopra il terminale) abbiamo l’altezza della colonna d’acqua effettiva (indicata in figura con la lettera X). Se la lenza si dispone a 45 gradi (ammettiamo che lo faccia perfettamente) la distanza tra galleggiante e primo pallino sul fondo è superiore poiché rappresenta la diagonale di un ipotetico quadrato. Considerando che la misura della diagonale di un quadrato è pari al suo lato moltiplicato per la radice di due (1,41 circa) possiamo dire che approssimativamente per avere il primo pallino sul fondo la distanza tra questo pallino e galleggiante deve essere una volta e mezzo la profondità misurata a sonda (1,5X).
Se non fosse chiaro passiamo ad i numeri: se la profondità misurata a sonda è di 3 metri la distanza tra galleggiante e primo pallino deve essere 4.5 metri.
In questa situazione avremmo (si ragiona sempre per approssimazione) il primo pallino che tocca il fondo ed il terminale sdraiato. Da questa misura sempre tenendo la lenza a 45° si tratta di ridurre la profondità (se necessario) finché non si registra il maggior numero di mangiate. Avremo pertanto individuato la lunghezza giusta.
Come riconoscere la corretta sovratura
Il peso totale corretto della lenza è quello per il quale la lenza trattenuta dalla sola canna (galleggiante tenuto sollevato dalla superficie dell’acqua quanto basta per osservare l’angolo che forma il filo) si inclina circa a 45 gradi. Ed è logico poiché il galleggiante, per quanto contribuisca a trattenere la lenza, ha per lo più la funzione di segnalatore ed è la lenza in sé che deve stare inclinata.
La pasturazione
Se abbiamo fatto tutto correttamente la lenza lavora come dovrebbe ed ora sorge il problema di creare la scia di pastura. In generale lo scopo è quello di lanciare i bigattini sfusi con la fionda, a dose e frequenza costante, in una zona che si trova a monte e su una linea leggermente più distante rispetto al galleggiante e questo al fine di creare una scia continua che dalla superficie scende verso il fondo.
Le correnti sul piano orizzontale (trasversale). I bigattini sono spinti prevalentemente verso valle ma subiscono anche una spinta verso riva.
Sul piano verticale questa discesa è chiaramente diagonale per l’effetto della corrente (da monte a valle). La corrente tuttavia non è uniforme (tranne che su fondali molto bassi) e spinge le larve a maggior velocità negli strati superficiali e a minor velocità negli strati più profondi, inoltre i bigattini subiscono anche altre forze che tendono a disperderli (la classica rosata) ed avvicinarli verso riva (prima o poi). È facilmente intuibile come prevedere con precisione il movimento caotico della larve sia del tutto impossibile e l’unica cosa che possiamo fare è assicurarci che la nostra esca si trovi comunque in un punto di questa discesa.
Schema semplificato della pasturazione in trattenuta bloccata. Viene qui considerato solo il piano frontale (verticale).
Nell’esempio sopra è schematizzata la probabile discesa delle larve sul piano frontale. Il bigattino è sottoposto alla forza di gravità che lo fa affondare ad un certa velocità e alla forza della corrente che lo spinge a valle con due velocità (il valore mostrato è puramente ipotetico), maggiore in superficie e minore sul fondo. Ciò determina una discesa più o meno parabolica (dipende dalle correnti) ma in ogni caso più corta, in linea d’aria, di quella che potremmo immaginare osservando la sola corrente superficiale.
Uno dei pochi dati a disposizione è la velocità di affondamento di un bigattino in acqua ferma. La velocità dipende dal tipo di bigattino (vecchio, fresco o sgrassato) e varia da 8 a 10 secondi/piede (30 cm). Sono misurazioni fatte da numerosi pescatori e pubblicate online su diversi siti e forum (un articolo molto interessante è The Fall of the Maggot su matchangler.com). Ne viene quindi una velocità media di 1 metro ogni 30 secondi (range 25–35 circa) e ciò significa che in linea teorica un bigattino, in assenza di corrente, su un fondale di tre metri impiega più o meno un minuto e mezzo a toccare il fondo. La domanda è dunque quanto a valle si spinge se oltre alla forza di gravità è sottoposto per tutto quel tempo alla spinta della corrente che peraltro è variabile, senza contare una certa quota di “ruzzolamento” sul fondo (dove c’è sempre una certa turbolenza).
Di certo se peschiamo in prossimità del fondo dovremo lanciare tanto più a monte del punto di trattenuta quanto più la corrente è forte e quanto maggiore è la profondità.
Misura approssimativa della corrente superficiale (sul piano frontale).
Un metodo molto veloce (benché assolutamente poco preciso) per stimare la corrente superficiale è osservare che distanza percorre il galleggiante non sovratarato in 30 secondi (distanza di passata). Si può ipotizzare, con larghissima approssimazione, che se la corrente fosse costante (dalla superficie al fondo) e il bigattino affondasse perfettamente in diagonale, dal punto di ingresso in acqua al fondo percorrerebbe una distanza (distanza limite) pari alla distanza di passata moltiplicata per la profondità misurata a sonda. Chiariamo con il solito esempio: se in trenta secondi il galleggiante percorre 3 metri di passata e la profondità è di 3 metri, la distanza limite è intorno ai 9 metri.
Come detto in precedenza consideriamo però che il bigattino non affonda in diagonale ma seguendo una parabola e che rispetto al galleggiante in trattenuta la lenza è più distante (ricordiamoci che è disposta a 45 gradi). Conviene dunque stare più corti e sottrarre per ragioni geometriche quantomeno una misura in metri pari alla profondità. Ne viene che nelle condizioni dell’esempio sopra dovremmo pasturare a circa 6 metri dal galleggiante (distanza massima di pasturazione). Si tratta di semplici osservazioni che poi nella pratica reale hanno sempre (e sottolineo “sempre”) bisogno di aggiustamenti per tutti i motivi che potete facilmente immaginare tuttavia, anche a semplice colpo d’occhio, ci danno un’ idea di dove più o meno dovremmo fiondare i bigattini.
Ultima considerazione da fare è che se proprio dobbiamo sbagliare punto di pasturazione è meglio in difetto che in eccesso. La ragione è che se pasturiamo troppo distante dal galleggiante rischiamo di trovarci completamente fuori pastura (i bigattini toccano il fondo molto prima della nostra lenza) mentre se pasturiamo troppo vicino siamo solo parzialmente fuori pastura in quanto i bigattini toccheranno il fondo più a valle della lenza ma questa sarà comunque in scia.
Azione di pesca
Praticamente gli aspetti essenziali li abbiamo già visti. Giunti sullo spot e preparata la postazione la prima cosa da fare è misurare la velocità del flusso superficiale con una passata di 30 secondi sulla linea di pesca. Questo ci consente di ragionare successivamente sul punto di pasturazione. Dopodiché si tratta di sondare la profondità sul primo pallino utilizzando una sonda di peso sufficiente a prendere la misura in verticale (se è troppo leggera il filo forma un angolo per via della corrente e la misura è sbagliata). Il galleggiante andrebbe ora alzato ulteriormente di una lunghezza pari alla metà della profondità misurata (profondità misurata * 1.5) così che una volta che la lenza si trova a 45° il primo pallino tocca o sfiora il fondo (teoricamente) mentre il terminale vi si appoggia.
Il galleggiante viene ora sovratarato applicando il corretto peso aggiuntivo in lenza.
Due spigole autunnali. In Arno il periodo migliore per la trattenuta va da metà ottobre ai primi di dicembre. Man mano che la temperatura nel tratto di foce scende ed aumenta la quota di acqua dolce i branzini tendono a spostarsi verso il mare dove poi nei mesi più freddi inizia la riproduzione. Nei mesi più caldi invece l’alto numero di pesci foraggio come le alborelle rende la pesca con il bigattino piuttosto improduttiva.
Il lancio è di tipo under-arm ed il galleggiante, una volta in acqua, viene trattenuto a circa 1–1.5 metri dalla vetta con l’antenna che forma un angolo di 45° verso monte. Di solito io innesco uno o massimo due bigattini su un amo del n.18 che è legato ad un terminale dello 0.12 in nylon. In Arno è costante una certa torbidità e molto raramente è necessario spingersi verso lo 0.10, inoltre non è infrequente allamare carpe o channel di grandi dimensioni e lo 0.10 equivale il più delle volte ad un vero e proprio suicidio tecnico. In altri spot lo 0.10 può essere invece la misura ideale.
Come descritto la pasturazione a fionda avviene in un punto a monte e leggermente più fuori della linea di pesca. È bene far prevalere la frequenza alla quantità lanciando pochi bigattini ma in modo costante e continuo così da creare una scia che scende verso il fondo senza interruzioni. La distanza di pasturazione può essere discreta quindi generalmente si opta per fionde strong. Portatene sempre una di riserva o almeno i ricambi (elastici e fondello). Non si sa mai e in questa pesca trovarsi senza fionda è un vero e proprio disastro.
L’articolo più completo ed esaustivo che esista sull’argomento. Scrivo da Fiumicino, dove questa tecnica è un comandamento nella pesca in canale. Complimenti davvero.
Grazie Marco, mi fa molto piacere. Fiumicino è la patria di questa tecnica e i tuoi complimenti sono veramente il massimo cui potessi ambire! A presto e perdona il ritardo nella risposta. Stavo chiudendo la rivista digitale e il blog è stato un po’ trascurato.
Franco
Salve e grazie per questi interessanti articoli. Una domanda anzi, forse due : in un ambiente come la foce con correnti così diverse tra sotto dove corre acqua di mare e sopra dove corre acqua dolce viene appunto da pensare che l’unica tecnica efficace sia quella con una lunga canna bolognese operando una trattenuta, questo per far correre l’esca davanti alla lenza , principio fondamentale della pesca in passata. Perché allora si parla dell’efficacia anche della pesca con l’inglese in foce ( in un altro articolo) quando non potendo operare la trattenuta la lenza non potrà disporsi correttamente negli strati di acqua sottostanti? Forse un pallettone pesante potrebbe annullare l’effetto del primo strato di acqua dolce che preme in modo diverso da quello sotto di acqua salata ?
In una situazione così complessa di correnti, la pesca a feeder ( se il fondale lo permette)non potrebbe essere quella più indicata, portando la pastura subito nello strato di acqua salata e facendo lavorare il finale in corrente ?
Grazie ancora
Andrea
Ciao Andrea, grazie per il commento cui cercherò di rispondere più brevemente possibile ma le considerazioni da fare sono tante.
Le correnti sono diverse tra sotto e sopra ma le differenze sono variabili a seconda della fase di marea, della fase lunare, della portata del fiume, del vento (sia sullo spot che in foce vera e propria), della pressione e delle condizioni del mare (marea meteorologica). Ci sono momenti in cui, personalmente, riesco a gestire la passata meglio con il waggler (la trattenuta è solo di controllo/invito) ed altri che richiedono i classici galleggianti top and bottom (stick o bolo) per una trattenuta più pronunciata. Dipende poi, oltre che dalle condizioni, anche dal tipo di pesce che si intende insidiare e da dove questo si colloca lungo la colonna d’acqua.
Faccio un esempio. È primavera, la portata del fiume è bassa e l’acqua scorre molto lentamente. Le spigole mangiano più o meno a mezz’acqua e ad una certa distanza dalla riva (diciamo 15–20 metri). L’approccio con la bolognese è difficoltoso, talvolta improponibile, per una serie di motivi mentre con il waggler puoi raggiungere la distanza voluta (di fionda ovviamente e non oltre) e realizzare un setup, una distribuzione della piombatura, che si adatti alla corrente in modo che l’esca non segua il galleggiante. A quel punto effettui la passata producendo di tanto in tanto qualche piccolo invito. L’invito con il waggler determina un affondamento del galleggiante ed ha lo stesso effetto della trattenuta, facendo spostare in avanti il terminale con l’esca. Qui si tratta di “contare”: se dopo l’invito il waggler non riemerge subito conviene ferrare delicatamente.
Quanto alla pesca a feeder, si tratta di una disciplina che non va bene per tutti i pesci. Sempre considerando la spigola è solitamente più indicata la pesca al colpo rispetto a quella a fondo. Ciò non significa che a feeder non si possano catturare branzini ma solo che (almeno per quella che è la mia esperienza) fintanto che si può pescare con il galleggiante è preferibile.
mi prometto però di prendere spunto dal tuo commento per chiarire alcune cose qui sul blog nei prossimi articoli.
Grazie ancora!
Franco
Agganciando una spigola di buona dimensione,con la bolognese da riva,e con diametri sottili 0/10 0/11/100 in che posizione bisogna tenere la canna , per stancare e non strappare la lenza? Grazie.
Ciao Dani,
non è una domanda semplice. Diciamo in linea generale che la posizione della canna è quella che può garantire una sua curva morbida ed equilibrata, così che l’elasticità possa essere ben distribuita “dal braccio del pescatore alla vetta della canna”, che sono un tutt’uno. Ti consiglio dunque di osservare la canna e la sua curva. Troverai sicuramente l’angolazione più corretta.
Detto questo molto dipende anche dallo spot, dalla necessità o meno di alzare il pesce in alcuni punti, dall’azione della canna (più di punta o più parabolica) e via dicendo.
E non dimentichiamoci poi dell’importanza di tarare perfettamente la frizione, altro importantissimo fattore. Quindi, come dicevo all’inizio, non c’è una risposta semplice alla tua domanda. Ma se proprio devi partire da un angolo, in media ti accorgerai che i classici 45° sono il naturale punto di partenza 😉